<<A nome anche dei qui presenti membri del gran consiglio dei Dieci Assenti, porgiamo amici, sottoposti, l’estremo saluto ai nostri compagni di viaggio, giunti dopo un lungo ed operoso tragitto, al casello d’uscita.
Cari inferiori, nell’autostrada della vita, è un doveroso segno di civiltà farci da parte quando chi ci segue, più veloce e scattante, ci taglia la strada.
Perché andare in pensione, oltre al diritto di un meritato riposo, merita anche un preciso dovere sociale per i membri della terza età: lasciare il posto ai giovani.>>
È così che il granduca Barambani, nel celebre film degli anni ‘80 “Fantozzi va in pensione”, dà il via alla cerimonia di “riconoscimento tangibile dell’azienda per i 30 anni di servile fedeltà” dei prossimi pensionati.
Fantocci, pardon, Fantozzi, con la fronte imperlata e le mani sudate, si accinge, con un misto di tristezza e ansia, al bancone di premiazione. Lì riceve, come segno di riconoscenza per anni lavoro, un “prezioso orologio da tasca in simil-oro, con catena, incisione del nome dell’inferiore e carillon”.
Ecco che in meno di due minuti di scena viene delineato un quadro perfetto, seppur in parte datato, della società.
Fantozzi, impiegato comune, stereotipo dell’italiano tipo, si trova alla fine della sua carriera lavorativa. Si sente agitato perché adesso le sue certezze non esistono più, si ritroverà il giorno seguente al pensionamento a cercare invano il suo cartellino nella bacheca per poterlo timbrare.
“Il lavoro nobilita l’uomo”, “Il lavoro ci rende schiavi”, ognuno la vede a modo suo, vero è che le nostre giornate sono scandite dai ritmi lavorativi.
Il lavoro è una parte fondamentale della nostra esistenza. Se pensiamo a quanta energia ed impegno mettiamo nel lavoro è facile capire.
Viene però un momento nella vita in cui non possiamo più lavorare, in cui le nostre energie si esauriscono e ci dobbiamo concedere un meritato riposo.
La generazione dei nostri nonni, e in parte quella dei nostri padri, riponeva nello stato di pensionamento una sorta di riconoscimento per tutti gli sforzi che aveva fatto durante la vita.
La pensione era vista come un vero e proprio traguardo da festeggiare, una data segnata di rosso sul calendario.
Adesso non è più così, il traguardo è stato allontanato, la data sul calendario è stata spostata (di molti anni!) e quando gli obiettivi sono troppo lontani ci stanchiamo anche di raggiungerli.
E poi, raggiungerli per cosa?
Ma a che età riusciremo ad andare in pensione?
Quando ci penso non mi sento affatto tranquillo. Non c’è niente che mi assicuri che avrò una pensione e che questa sarà sufficiente per mantenermi.
A volte penso, “Dai, almeno la minima ce la concederanno”. Però, chissà quante cose potranno cambiare.
L’INPS esisterà sempre? Se ci sono più pensionati che lavoratori, come troveranno il modo di restituirmi i soldi? Quanto sarà la pensione minima? Quanto varrà quella cifra tra diversi anni?
La cerimonia di pensionamento di Fantozzi ricalca benissimo la realtà attuale.
I pensionandi si aspettano che i loro sforzi di una vita siano riconosciuti, ma in verità il ragionier Fantozzi, il compare Filini e la signorina Silvani, si trovano la porta chiusa alle spalle e in tasca un misero orologio in finto oro.
Fantozzi, come sempre, oltre al danno subisce anche la beffa. Sull’orologio trova inciso il suo nome, peccato però che sia errato. Lo sventurato viene abbattuto ancora di più dal saluto del mega direttore generale che gli dice: “Caro Bambocci, non la dimenticheremo mai”.
“Ma come” pensa lui “dopo 30 anni di impegno non mi merito nemmeno di essere chiamato con il mio nome?”
Tutti ci aspettiamo dei riconoscimenti. Speriamo di essere “premiati” economicamente per il lavoro svolto durante tutta la nostra vita, ma purtroppo il sistema economico non ce lo permette.
Spesso viviamo la riduzione della pensione o l’allungamento degli anni di lavoro come una punizione, ma non è così.
È una semplice e fisiologica conseguenza economica.
Lo Stato non può far altro che far quadrare i conti delle grandi istituzioni previdenziali e così le nostre aspettative possono essere deluse.
Lo scenario attorno a noi diventa triste e angosciante e le note del carillon che escono dall’orologio di Fantozzi si dimostrano una colonna sonora perfetta.
C’è però una cosa di questo film sicuramente non è in linea con i nostri tempi: “i 30 anni di servile fedeltà”! Magari fosse così, magari potessimo andare in pensione dopo 30 anni. Dalla fine degli anni ’80 ad oggi sono cambiati di molto i parametri di pensionamento.
Attualmente, la regola generale per l’accesso alla pensione di vecchiaia è le seguente:
il raggiungimento dei 67 anni di età e almeno 20 anni di contribuzione
Per l’accesso alla pensione anticipata invece sono necessari:
42 anni e 10 mesi di contributi versati per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi versati per le donne.
(fonte: https://www.pensionioggi.it/pensioni)
Un’altra frase del discorso del Megadirettore di Fantozzi non coincide con la realtà dei nostri giorni: “lasciare spazio ai giovani”.
Anche oggi è una frase che, paradossalmente, viene usata, ma adesso, come ci indicano i dati, siamo costretti a lavorare per più anni, perché le casse dell’INPS non sono sufficienti.
E poi c’è un altro fattore. Al giorno d’oggi, siamo così sicuri di poterci mantenere un lavoro ed uno stipendio stabile? Con le incertezze che ci circondano, la risposta purtroppo è no. Il precariato va a braccetto con le nuove generazioni e non solo.
Poi c’è un’altra cosa. Sembra assurdo, ma dobbiamo augurarci che la speranza di vita non aumenti, che quindi la ricerca non progredisca e che la tecnologia non faccia passi in avanti.
Perché avremo un ulteriore problema da affrontare. Quale?
L’economista Tito Boeri (presidente dell’INPS fino al 2019) in una dichiarazione di qualche anno fa, delineò uno scenario futuro ancora più angosciante:
“I nati nel 1980 saranno costretti a lavorare fino a 70-75 anni e godranno di pensioni più basse rispetto a quelle attuali, circa il 25% in meno”.
Come mai in così poco tempo passeremo da 67 anni a 70-75 anni?
Perché con la legge attuale l’aumento della speranza di vita delle persone inciderà notevolmente.
Questo significa che più aumenta la speranza di vita e più tardi andremo in pensione. Infatti il primo adeguamento che c’è stato nel 2013 ha aumentato di 3 mesi il momento in cui potremmo accedere alla pensione.
Nel 2019 c’è stato un ulteriore aumento (siamo passati da 66 anni e 7 mesi a 67 anni). Succederà la stessa cosa negli anni a venire.
L’adeguamento previsto al 1° gennaio 2021 è stato annullato, pertanto i requisiti anagrafici restano invariati sino al 31 dicembre 2022, ma poi saranno rivisti comunque ogni 2 anni.
Qual è la morale? In sostanza, più campi e più dovrai aspettare ad andare in pensione.
È chiaro, l’alternativa c’è, ovvero andare prima rinunciando ad una buona parte della nostra pensione. Ma questa è un’altra storia.
La speranza di vita, oltre a farci vedere il traguardo all’agognata pensione molto in là nel tempo, inciderà molto su quanto andremo a prendere.
In pochi conoscono i Coefficienti di Trasformazione del Montante Contibutivo e la loro influenza in tema di pensioni.
Il tasso di conversione è la percentuale che converte in pensione il capitale contributivo che abbiamo accumulato lungo tutta la tua vita lavorativa.
Facciamo un esempio.
Se Mario ha accumulato 200.000 € di contributi e ha 64 anni nel 2021, questo capitale verrebbe moltiplicato per il corrispondente Coefficiente di Trasformazione del Montante Contibutivo, che in questo caso è pari al 5,060% (vedi tabella sotto).
Quindi la pensione di Mario sarebbe di 10.127 € annui, pari a 843,9 € mensili.
Se Mario fosse andato in pensione nel 2009, la sua pensione sarebbe stata di 11.822 €, pari a 985€ mensili. In pochi anni ci siamo mangiati qualcosa come 141 € al mese.
Come possiamo vedere nella tabella sottostante, negli anni questa percentuale è diminuita, proprio perché è basata sull’aspettativa di vita delle persone.
Ecco come trasformare una bella notizia in una pessima notizia. Sì, è proprio così, più possibilità ci saranno di vivere a lungo e più le nostre pensioni si ridurranno.

Quindi, riflettendo sulla nostra pensione, dobbiamo tenere conto che ciò che pensiamo di percepire oggi, non sarà quello che riceveremo domani. Dovremo augurarci di aver per sempre un lavoro costante che ci porti a versare dei contributi continuativi.
Dobbiamo pensare di lavorare per molti anni, augurandoci di poterlo sempre fare.
Quello che mi immagino, tenendo conto di questi fattori, è che le nostre pensioni saranno ridicole, questo è il termine più adatto. I soldi del nostro lavoro di anni si ridurranno a briciole.
Oggi la pensione minima è di 515,58 euro. È facilissimo spendere questa cifra in un mese. Qualche bolletta, un po’ di spesa ed ecco che hai già finito i soldi.
Poi non ci dimentichiamo che ciò che spendiamo ora non sarà lo stesso di quello che dovremo spendere in futuro.
Con l’avanzare dell’età i problemi aumentano. A 75 anni, molto probabilmente i soldi per le spese mediche aumenteranno, inoltre insieme a noi invecchierà anche la nostra casa, che dovrà essere mantenuta, e gli imprevisti crescono.
E non voglio nemmeno immaginare cosa farà chi si troverà a dover pagare anche un affitto. In poche parole, per finire i soldi della pensione faremo molto presto.
Forse nessuno di noi potrà più permettersi di fare le gitarelle fantozziane fuori-porta o di godersi un minimo di meritato riposo. Con questa aspettativa, non potremo fare assolutamente niente, c’è solo da augurarsi di non ritrovarsi a dormire sotto ad un ponte.
E poi chi si vede a più di 70 anni a fare un lavoretto per arrivare alla fine del mese? Facciamo di tutto per prolungarci la vita e poi forse un giorno rimpiangeremo di averlo fatto.
Chissà se un giorno, arrivati a non avere una pensione sufficiente per campare, dovremmo fare tutti come Fantozzi: tornare a lavorare (a nero) nello scantinato della megaditta del mega presidente galattico.