“C’era una volta un pezzo di legno”… è così che iniziava la favola preferita di quando ero bambino.
Il mio babbo faceva il falegname e a me piaceva immaginarlo come Geppetto, intento a dare forma a burattini animati.
Amavo passare i fine settimana in bottega con lui. Scrutavo quei pezzi di legno che prendevano vita sui banconi da lavoro e ne rimanevo affascinato.
Ben presto ho imparato il mestiere. E dopo che il babbo ha smesso di lavorare ho ereditato il laboratorio di famiglia.
Di quella passione ne ho creato una professione, che ha assorbito gran parte delle mie giornate, ma che mi ha sempre permesso di mandare avanti la famiglia.
“Claudio, non hai altri interesso oltre al lavoro” mi ripeteva sempre la mia ex moglie. Purtroppo è vero, mi piace così tanto quello che faccio, anzi che facevo, che nella vita non sono riuscito ad interessarmi ad altro.
L’unica cosa che so veramente fare? Il falegname.
Quando in ospedale mi hanno dato il responso ho sentito tutto il mondo crollarmi addosso.
“Claudio, mi dispiace, ma purtroppo ha perso l’uso della mano”.
Che significa? Come è possibile? Come faccio a tornare al lavoro?
Mi era stata portata via l’unica cosa che ero in grado di fare!
Da quando io e Daniela ci siamo separati, sono sempre stato in grado di mantenere Marco. Il mio lavoro mi permetteva di cavarmela con le mie forze. Ho sempre pensato di proteggere e di dare un futuro a mio figlio.
In un lampo non sono più riuscito a portare un euro a casa e tutto il mio castello si è sbriciolato in mille pezzi.
Ecco cosa è successo…
Una mattina mi sono convinto a svuotare il garage. Era veramente pieno di cose inutili. Dovevo fare spazio per la nuova moto di Marco.
Non potevo immaginare che avrei trovato di tutto in quella stanza, persino un lavandino del nostro vecchio bagno. Ma che ci faceva ancora lì?
L’ho preso per portarlo fuori, ma qualcosa è andato storto. Con quell’ingombrante lavabo in mano non sono riuscito a vedere un cumulo di piastrelle appoggiate sul pavimento.
E, come una pera cotta, sono andato giù di colpo.
Per il forte impatto, il lavandino si è rotto e un grosso pezzo ceramica mi ha ferito una mano. In quel momento ho pensato: “Faccio il falegname e guarda te se devo farmi male con un lavandino”.
Pensavo fosse una cosa da niente. Invece mi sbagliavo di grosso.
Perdevo un bel po’ di sangue, ma sono riuscito comunque a chiamare i soccorsi, che sono arrivati più velocemente possibile. Ero preoccupato, ma non solo per la mano.
Avevo un lavoro da ultimare e quell’imprevisto avrebbe rallentanto la consegna del pezzo.
I medici erano più allarmati di quanto mi aspettassi.
In effetti la mano era messa piuttosto male! Il danno era più profondo di quanto pensassi.
Quel pezzo di ceramica mi aveva lesionato i nervi principali della mano.
Ho subìto un’operazione di urgenza, ma purtroppo la lacerazione era totale e i dottori non sono stati in grado di recuperare i nervi.
“Claudio, mi dispiace, ma ha perso l’uso della mano”.
L’unica cosa che so fare è lavorare il legno… con le mani!
Immagina come mi sono sentito quando mi hanno detto che non sarei più stato in grado di fare il mio mestiere.
Così, a 53 anni, mi sono trovato con una mano fuori uso, costretto a cessare la mia attività!
Facile comprendere le conseguenze di tutto questo: smettendo di lavorare non avrei più portato a casa nemmeno un euro.
Come potevo fare con l’assegno di mantenimento?
La mia ex moglie fa un lavoro part-time e il mio stipendio era fondamentale per mio figlio.
Marco non ha ancora finito l’università e le spese in casa sono tante.
Il mutuo.
Le bollette da pagare.
La spesa da fare.
Le cure mediche.
Le continue visite in ospedale e la mia nuova condizione fisica mi avevano completamente buttato il morale a terra. Mi sentivo al perso.
La notte mi svegliavo in preda all’ansia: come avrei fatto a mantenermi e ad essere un sostegno per mio figlio?
Dovevo ripartire da zero! Ma come?
Da subito mi sono preoccupato di trovare una soluzione. Altrimenti sarebbe stata una tragedia.
“Posso avere qualche aiuto economico dallo Stato?”
Pensavo che le strutture mediche mi avrebbero indicato il percorso da fare. Invece ho dovuto fare tutto da solo.
Sapevo che in Italia ci sono mille impedimenti burocratici, ma mai avrei pensato di dover affrontare un’odissea. E poi per cosa?
L’infortunio di Claudio è avvenuto fuori dal lavoro, quindi non sono previsti interventi di indennizzo da parte dell’INAIL.
È comune pensare: “Che sfortuna farsi male fuori dal lavoro. Quante probabilità ci sono che possa accadere?”
In realtà non è affatto improbabile.
Se moltiplichiamo 200 giorni lavorativi (di 1 intero anno) per 8 ore di lavoro giornaliere, vediamo che lavoriamo 1.600 ore in 1 anno. Se rapportiamo questa cifra alle 8.760 ore globali di 1 anno, vediamo chiaramente che passiamo al lavoro solamente il 18,26% del nostro tempo.
Quindi ci sono maggiori probabilità che ci accada qualcosa fuori dal lavoro, nel rimanente 81,74% del tempo.
E in questi casi di infortunio o malattia, che ti costringono ad allontanarti dal lavoro, è così semplice ricevere un aiuto statale?
Per ricevere un indennizzo da parte dello Stato devi avere un’invalidità civile riconosciuta maggiore del 74%.
E chi decide questa percentuale?
È l’INPS che procede con l’accertamento delle effettive capacità del paziente a svolgere compiti quotidiani e lavorativi. In base alla gravità della situazione, viene attribuita la percentuale di invalidità.
Ecco come.
La prima cosa da fare è munirsi di un certificato del medico curante, che attesti l’invalidità. Il medico deve redarre un apposito modulo e lo deve inviare all’INPS, al quale segue una ricevuta con il numero di protocollo.
Da qui parte il conto alla rovescia. Entro 90 giorni il paziente deve consegnare questo certificato medico sul portale dell’INPS per richiedere il riconoscimento dell’invalidità. Trascorso questo tempo il certificato perde validità ed è necessario rifare la procedura da capo.
Ricevuta la domanda completa, l’INPS provvede a trasmetterla online alla ASL di competenza.
Entro 30 giorni la ASL fissa un appuntamento con il paziente (per malattie oncologiche i giorni sono 15). L’accertamento sanitario viene eseguito attraverso una Commissione Medica Integrata (CMI), seguita da un medico dell’INPS, che stabilirà la percentuale di invalidità.
Fonte: https://www.osservatoriomalattierare.it/invalidita-civile-esenzioni-e-diritti/13171-fare-domanda-di-invalidita-civile-l-iter-dettagliato
Nella sala di attesa della ASL ero in preda all’ansia.
Da una parte avrei voluto che mi dicessero: “Claudio, lei non è invalido, tra poco tornerà come nuovo”. Ma sapevo bene che per la mia mano c’era poco da fare.
Non potevo più stendere il polso e le dita. Impossibile tornare come prima.
Dall’altra parte desideravo essere “sufficientemente invalido”. Dovevo trovare un modo per campare, per questo volevo raggiungere quel 74% di invalidità.
Intanto Daniela, la mia ex, ha compreso la situazione è ha iniziato a cercare un lavoro a tempo pieno. Aveva capito che per me sarebbe stato un problema aiutare economicamente Marco.
Ma alla nostra età non è così semplice rimettersi in carreggiata, di questi tempi poi!
Non volevo che Marco smettesse di studiare a causa mia, sarebbe stato un grosso dolore privarlo del suo futuro.
Quella sedia in sala di attesa era scomoda come i pensieri che mi passavano per la testa:
Quale altro lavoro posso fare?
Come faccio ad imparare un altro mestiere a 53 anni? Sempre che qualcuno sia disposto ad assumermi.
Come faccio con le spese di casa?
Le bollette, la spesa, le ultime rate del mutuo, le spese mediche…
Ero disperato.
Anche quei miseri 290 € al mese avrebbero fatto comodo!
Eh sì, se sei abbastanza “fortunato” da essere invalido per più del 74% puoi ricevere dallo Stato 291,69 Euro di pensione di invalidità civile.
Però questo è concesso solo a chi ha un limite di reddito annuo di 5.010,20 Euro. Praticamente non devi svolgere più un lavoro per ricevere questo indennizzo. (disciplinato dalla L. n-18/1980)
E senza più uno stipendio come si fa a campare con meno di 300 Euro al mese?
Con tutte le spese che ha una famiglia, questa cifra è solo un piccolo cerotto per arginare un mare di spese. Bastano giusto per farci un po’ di spesa.
Ma purtroppo questa è la realtà dei fatti.
Oltretutto la visita medica di Claudio non ha avuto un esito positivo.
Mi è stato riconosciuto solo il 60% di invalidità!
Che beffa. Non sono così sano da poter continuare a svolgere il mio lavoro e non sono così malato per poter ricevere un aiuto economico.
Ho provato ad approfondire la questione. Magari un’altra commissione sarebbe stata più clemente. In realtà questo non è possibile. Per percepire un sussidio è necessario che la malattia rientri in una precisa classificazione stabilita dalla legge. (Decreto del Ministero della Salute datato 5 febbraio 1992).
Ogni commissione medica si basa su specifiche tabelle dell’INPS per definire il grado di invalidità. È una valutazione oggettiva.
Ma per un artigiano perdere l’uso della mano è un valore inestimabile. Uno strumento senza il quale non svolge più un mestiere.
Quell’incidente ha stravolto la mia vita. Non solo mi ha fatto perdere un lavoro, ma mi ha messo nelle condizioni di non poter sostenere mio figlio.
Inoltre la situazione con Daniela si stava complicando sempre più. Dover pesare sulla propria ex moglie non è una bella sensazione. Si creano delle dinamiche difficile da sostenere. So che lei farebbe di tutto per suo figlio, ma essere io la causa dei suoi sacrifici non avrebbe certo aiutato i nostri rapporti, oramai già compromessi.
Per questo, di fronte a quel 60% ho provato tanta rabbia!
La storia di Claudio forse sembra assurda, ma in realtà non è così scontato ottenere la pensione di invalidità civile.
Facendo fede alle “Linee guida INPS. per l’accertamento degli stati invalidanti”, scopriamo che vengono assegnate le seguenti percentuali di invalidità:
(Fonte: https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Istituto/Struttura_organizzativa/Linee_guida_accertamento_degli_stati_invalidanti.pdf)
- AMPUTAZIONE O PERDITA DEL BRACCIO DOMINANTE > 65%
- AMPUTAZIONE O PERDITA AVAMBRACCIO DOMINANTE NON PROTESIZZABILE > 60%
- AMPUTAZIONE O PERDITA DELLA MANO DOMINANTE NON PROTESIZZABILE > 55%
- AMPUTAZIONE DI COSCIA, A PRESCINDERE DAL LIVELLO, NON PROTESIZZABILE > 70%
- AMPUTAZIONE O PERDITA DI UN PIEDE > 35%
- DISFONIA CRONICA GRAVE O AFONIA > 40%
- AMPUTAZIONE O PERDITA DEI DUE PIEDI PROTESIZZABILE > 60%
- CECITÀ MONOCULARE – ALTRO OCCHIO VISIONE NORMALE > 30%
- ...
In tutti questi casi (- del 74% di invalidità), non ottieni niente dallo Stato.
Claudio ha perso l’uso di una mano, ma se anche avesse perso un braccio non avrebbe ricevuto la pensione di invalidità.
In Italia ci sono tante persone che si trovano senza uno stipendio, perché hanno una patologia che gli impedisce di svolgere normalmente un lavoro.
Immagina cosa vuol dire per un impiegato al pubblico perdere l’uso della voce, oppure quanto può essere grave la perdita di una gamba, o di due piedi, per un operaio o per chiunque non lavori ad una scrivania.
E anche in caso di malattie la questione non cambia.
In caso di trapianto del rene, ad esempio, non otteniamo più del 50% di invalidità.
Questo intervento però implica la necessità di fare dialisi. E mantenere un lavoro, con la frequenza di assenze per le cure, non è così scontato.
Stessa cosa se hai avuto un infarto. Rischi di perdere il lavoro e non sei considerato sufficientemente invalido per percepire un contributo statale.
CARDIOPATIA IPERTENSIVA CON IMPEGNO CARDIACO DI GRADO MEDIOSEVERO > 70% di invalidità
Per le malattie croniche intestinali accade la stessa cosa. Ci sono patologie, tipo il morbo di Chron, che ti impediscono di svolgere l’attività lavorativa normalmente, ma allo stesso tempo possono non farti arrivare al 74% di invalidità.
Non è finita qui.
In caso di invalidità inferiore al 33% non si è considerati invalidi. Quindi, ad esempio, chi è completamente cieco da un occhio viene considerato come chi ha una vista di dieci decimi.
Oltre il 46% di invalidità si ha il diritto alla fornitura di ausili e protesi e all’iscrizione alle liste speciali per il collocamento mirato delle persone con disabilità (ai sensi della Legge 68/1999).
Una consolazione amara, per chi, come Claudio, si ritrova ad essere impossibilitato a svolgere molti lavori.
Dopo il responso dei medici dell’ASL la strada è diventata sempre più in salita.
Ero una persona comune, che andava avanti con uno stipendio dignitoso. Non mi mancava niente. Adesso tutto è cambiato.
Daniela fa qualche lavoretto saltuario, oltre al suo part-time. Non è riuscita a farsi assumere da nessuna parte.
La crisi si sente per tutti e le aziende non sono disposte ad prendere una “signora” per farle imparare un mestiere.
Perciò si fa in quattro per cercare di dare più certezze economiche a nostro figlio.
Non me lo dice, perché sa che non è mia la colpa di quello che è accaduto, ma credo che il rancore nei miei confronti sia aumentato. Lo sento da come parla con me.
Anche per lei questa è una situazione pesante. Alla fine non siamo più marito e moglie, ma siamo condizionati a vicenda.
Marco intanto è stato assunto in una pizzeria.
Ha capito la situazione e sta cercando un’indipendenza economica, così da parte mia può decadere l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento.
Per fortuna mio figlio è maggiorenne, altrimenti sarei stato costretto a dare comunque il mio contributo, anche perché non è così semplice dimostrare l’assoluta impossibilità di fare fronte a questo obbligo.
È vero che non ho un lavoro, ma la falegnameria è di mia proprietà e questo incide. Il reddito da lavoro è solo uno dei tanti fattori che vengono posti all’attenzione del tribunale.
Mio figlio al momento ha interrotto gli studi, ma spera ancora di potersi laureare in economia.
Questa è la cosa che mi fa più male. Per un padre è una grossa sofferenza gravare sui propri figli. Dovrei essere io che penso a lui, invece i ruoli si sono ribaltati.
Sono riuscito a vendere qualche macchinario della falegnameria. Ho recuperato pochi soldi, ma vista la situazione di emergenza mi sono dovuto accontentare.
Adesso sono iscritto alla lista di assunzione delle categorie protette.
Chi l’avrebbe mai detto che un giorno mi sarei trovato così.
La legge 68 del 1999 ha l’obiettivo di promuovere l’inserimento lavorativo di persone disabili attraverso lo strumento del collocamento mirato.
In base a questa legge, le imprese con più di 15 dipendenti hanno l’obbligo di assumere persone con invalidità lavorativa superiore al 45%.
Devono assumere 1 persona disabile, se hanno dai 15 a 35 dipendenti, 2 persone, se i dipendenti variano dai 36 ai 50, o il 7% dei dipendenti totali se questi superano il numero di 50.
Infatti, nonostante questa legge, molti disabili risultano essere disoccupati.
Secondo Istat sono 3,1 milioni le persone disabili in Italia.
Se a questo numero aggiungiamo anche le persone che dichiarano di avere limitazioni non gravi, il numero totale di persone con disabilità in Italia sale a 12,8 milioni. Ovvero il 21,3% della popolazione italiana.
All’interno della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 31,3% di coloro che soffrono di gravi limitazioni.
Inoltre, va ricordato che dei 3 milioni circa di persone disabili, ben 600 mila vivono in una situazione di grave isolamento, senza alcuna rete su cui poter contare in caso di bisogno, tra cui 200 mila che vivono completamente da sole.
(fonte: https://www.lenius.it/disabilita-in-italia/)
La bassa percentuale di occupazione delle persone con invalidità ci fa capire che probabilmente l’inserimento in azienda di una persona disabile non risulta affatto semplice.
Per molte aziende, l’assunzione di persone appartenenti alle categorie protette è vista come un obbligo. Per questo, molto spesso, le aziende preferiscono pagare le penali previste, piuttosto che far fronte all’obbligo previsto dalla legge.
In otto mesi ho fatto vari colloqui, ma ancora non sono riuscito ad ottenere un lavoro.
Mi avevano rassicurato dicendo che con la Legge 68/99 non avrei avuto problemi ad essere assunto, ma pare non sia così.
Ho sperimentato sulla mia pelle la grande difficoltà nel trovare un nuovo impiego, ma soprattutto a proporsi alle aziende in modo che non siano spaventate dalla mia disabilità.
Per questo motivo qualcuno mi ha persino consigliato di non menzionare l’iscrizione alle categorie protette nel curriculum vitae. È una cosa assurda dover rinunciare ad un proprio diritto!
Poi ci sono aziende, anche dove ho fatto il colloquio, che non rispettano la legge in merito all’inserimento delle persone con disabilità. Insomma, un disastro.
A questo punto non so proprio come procedere.
Non vedo una via di fuga da questa situazione, che si sta facendo sempre più pesante e disastrosa.
Ho sempre vissuto la disabilità dall’altra parte. Mai avrei pensato di trovarmi a fare i conti con le difficoltà burocratiche, la discriminazione e soprattutto il grave disagio economico.
Cerchi aiuto, ma alla fine, nel vero momento del bisogno, ti trovi ad essere solo ed invisibile.